La battaglia di Ostia: quando la Campania salvò l’occidente cristiano

Quando si pensa ad una battaglia navale che abbia visto fronteggiarsi musulmani e cristiani, con esito favorevole a quest’ultimi, viene in mente l’epica vittoria di Lepanto del 1571 contro i Turchi Ottomani.
Molti, però, non sanno che già 722 anni prima una flotta cristiana aveva riportato una straordinaria vittoria su un nemico islamico, in quel caso i Saraceni.
Nell’estate dell’849, infatti, una coalizione composta dai ducati di Napoli, Amalfi, Gaeta e Sorrento (Lega campana) sbaragliò ad Ostia, al largo del litorale romano, una flotta araba, al termine di una battaglia durata ore e che, al termine, vide prevalere la maestria dei marinai campani.
Prima di trattare nello specifico l’argomento, tuttavia, è opportuno delineare quello che era all’epoca il quadro della situazione europea.
Nell’VIII secolo gli Arabi avevano già conquistato i possedimenti romani nell’Africa settentrionale (l’attuale Maghreb), in Spagna avevano eliminato in breve tempo il debole regno Visigoto; nel 717 e nel 732, invece, subirono due gravi smacchi, prima a Costantinopoli e poi a Poitiers, mentre ad un secolo di distanza conquistarono la Sicilia, ampliando così il proprio controllo su tutto il mediterraneo;
avevano sottratto ai Bizantini i loro più importanti possedimenti nell’isola: Mazara del Vallo (827), Palermo (831) e Messina (843).
Roma, invece, il cuore pulsante dell’occidente, era ridotta ad un villaggio di circa 20.000 abitanti, così immemori del proprio passato da trasformare il Colosseo in un ovile.
Il ruolo di Roma fu preso da Napoli, all’epoca la più popolosa città d’Europa, con circa 50.000 abitanti, nonché sede di un ducato già minacciato dalla presenza longobarda, stabilitasi a Benevento e decisa ad imporre il proprio dominio su tutto il Sud Italia.
Sergio, duca della città partenopea, messo alle strette dall’ennessimo attacco longobardo, dovette ricorrere all’aiuto dei Saraceni per spezzare l’assedio nemico.
Nell’845, tuttavia, gli Arabi tentarono un colpo di mano per completare la conquista della penisola: cercarono di ottenere il controllo di Ponza e Ventotene, ma furono vinti dallo stesso Sergio. L’anno successivo penetrarono nel Lazio,  risalendo il Tevere con oltre 10.000 uomini e più di 70 navi e riuscendo a saccheggiare la basilica di San Pietro fuori le mura, salvo poi essere fermati dalle sole mura aureliane.
Il Papa Leone IV, preoccupato dalla crescente minaccia islamica, edificò un altro spezzone di cinta muraria, le Mura Leonine.
Il pontefice, successivamente, venuto a sapere dell’imminente sbarco di un’ingente flotta araba, chiese aiuto alla Lega campana, capeggiata da Cesario di Napoli, detto il Valoroso.
Giunto a Roma a capo della coalizione, l’ammiraglio partenopeo ricevette la benidezione del papa e si apprestò a salpare, mentre Leone IV pregava per la vittoria dei cristiani.
Fu così che nell’estate dell’849 si fronteggiarono per la prima volta una coalizione italica ed una potenza militare straniera, anticipando di circa trecento anni la Lega Lombarda.
L’esito fu incerto fino alla fine, ma ciò che consentì alla flotta cristiana di avere la meglio fu l’intelligente mossa di Cesario, che, accortosi dell’incombere di una burrasca, decise di avvicinarsi alla costa, contrariamente ai Saraceni, i quali, fiduciosi dei propri scafi leggeri, decisero di rimanere in alto mare, subendo la tempesta perfetta che sancì la vittoria dei marinai campani.
Secondo molti storici questa battaglia, peraltro magnificamente affrescata da Raffaello nella Stanza dell’incendio di borgo, non fu affatto meno importante di quella di Lepanto, ma, anzi, come detto prima, fu il primo caso in cui degli stati italiani si unirono contro un nemico comune.
Sembra strano, eppure una vittoria così epocale non è molto nota. Come mai?
Sicuramente la mancanza di fonti storiche ha fatto sì che della portata di questa impresa si potesse avere solo un’idea, mentre l’incertezza su chi fosse il capo della flotta araba e la mancanza di dati sulle forze schierate in campo hanno fatto il resto.
Poco importa.
Quanto ci deve interessare sono le ripercussioni di questa vittoria e l’orgoglio che suscita in noi la consapevolezza di avere degli avi i quali, mettendo a repentaglio la propria vita, hanno contribuito a far sì che potessimo ereditare l’Europa che conosciamo e che ci rappresenta.
 

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