Personalized Tattoo

Personalized Tattoo, l’emozione ‘Vera’ incisa sulla pelle

Intervista esclusiva ad una tatuatrice professionista di Mondragone, che entra nel vivo di questo mestiere, facendo emergere vari, interessanti aspetti, che spesso sono sconosciuti ai non addetti ai lavori

Ognuno ha una storia da raccontare; che sia un’esperienza, un’emozione, un episodio legato al passato o semplicemente una passione che dà alla sua vita un senso di pienezza e tanta energia. A volte non trova le parole giuste per esprimere tutto questo, e allora decide di farselo tatuare sulla pelle, rivolgendosi ad un tatuatore professionista. Vera è una di loro.
Entri nel suo studio e lei ti accoglie col sorriso, pronta ad ascoltare ed esaudire il tuo desiderio di rendere indelebile un’emozione. “Adesso sono una mamma a tempo pieno e indeterminato; una moglie, casalinga, cuoca e tatuatrice. Non c’è un ordine preciso, perché tutti questi ruoli convivono e camminano di pari passo”, mi racconta mentre aspetta che una cliente scelga tra decine di disegni disponibili, che ruotano tutti intorno all’idea di base.
“Ho studiato all’Accademia di Belle Arti di Napoli, indirizzo scenografia. Non c’entra nulla con il tatuaggio, ma, all’epoca, dovendo scegliere una facoltà che rientrasse nei miei interessi non avrei potuto fare altrimenti. Sono sempre stata brava nel disegno e la cosa mi ha sempre appassionata”.
La gavetta è stata lunga: “Conclusa l’Accademia, dopo i tanti lavoretti sottopagati in cui mi imbattei, nel 2014 iniziai a ‘lavorare’ come disegnatrice presso un tatuatore che opera a casa. Preparavo per lui disegni in base alle richieste del cliente. Rimasi delusa nel constatare che, una volta messo su pelle, il disegno che avevo creato risultava essere diverso e, a mio parere, poco armonioso. Il fatto mi fece desistere dal continuare questa collaborazione anche se, in quel modo, potei iniziare ad imparare le basi del tatuaggio: i tipi di aghi e di puntali, il montaggio della macchinetta e svariate altre piccolezze. Chiaramente, l’operato di quel tatuatore non era autorizzato e solo dopo, quando ho iniziato a conoscere più a fondo questo mondo, mi sono resa conto del modo poco professionale in cui agiva.”
“Ad ogni modo, avendo anche trovato un impiego presso un bar che mi permetteva un maggior guadagno ma mi toglieva tempo per preparare i disegni, abbandonai e accantonai quella passione che mi aveva accompagnata sin da piccola. Conobbi, nel giro di poco tempo, quello che adesso è mio marito. Ci innamorammo e in brevissimo tempo rivoluzionammo le nostre vite. Grazie a lui lasciai quell’impiego da cameriera che probabilmente non mi avrebbe portato a nulla e lo seguii fuori regione, dove lui lavorava”.

Ma quando si ha una passione, questa prima o poi tornerà a bussare prepotentemente alla tua porta. Così è successo a Vera. “Mio marito, sin dal primo momento, era stato affascinato dai miei disegni. Mi regalò una macchinetta a bobine per tatuare, completa di tutto; uno di quei kit economici per iniziare e capire se la strada è quella giusta o se è meglio dedicarsi a tutt’altro. Per diversi giorni non la utilizzai, mi limitavo a montarla ed accenderla ma pensavo che mai avrei avuto il coraggio di iniziare davvero quel percorso. Poi accadde che un giorno mio marito si presentò, al ritorno dal lavoro, con l’immagine di una volpe acquerellata e il desiderio di averla tatuata sull’avambraccio. Insistette così tanto che ci ritrovammo poggiati tra letto e uno di quei tavolini bassi dell’Ikea ad eseguire il suo desiderio. Non sapevo da dove iniziare; avevo, per la prima volta in vita mia, una responsabilità immensa. Ero molto titubante; tuttavia, applicai lo stencil e iniziai a bucherellare. Dopo pochi minuti, data la mia esperienza zero, lo stencil si cancellò.”
“Il panico prese inizialmente il sopravvento, ma poi decisi di continuare ad occhio, guardando quella piccola immagine sullo schermo del cellulare. Il risultato fu strabiliante e fu quella la molla che mi spinse a continuare ad esercitarmi su ritagli di cotica di maiale.”
“Mio marito iniziò a trovare persone disposte a farsi tatuare, a titolo gratuito o contribuendo per le spese dei materiali, pur sapendo che ero agli albori. Nel giro di poco iniziai, così, ad avere una clientela disposta a pagare per farsi scrivere e disegnare su pelle, così organizzammo una stanza inutilizzata della casa adibendola a studio. Cominciai a lavorare a casa, come esordisce la maggior parte dei tatuatori, cercando di rispettare tutte le regole di pulizia e utilizzo dei materiali. Nel giro di un anno, avevamo ristrutturato il locale dove attualmente c’è lo studio e avevo preso l’attestato come operatrice di tatuaggi e piercing”.
Non fu facile capire come organizzare gli spazi e quali documenti procurare: “A quanto pare, questo mondo è poco conosciuto anche da Comuni e Asl. Ad ogni modo, ci informammo per altre vie e, messo tutto a norma, potemmo aprire al pubblico”.


“Da quel giorno sono passati esattamente quattro anni. Era, infatti, il 23 ottobre 2016. “Ci vollero appena tre settimane per avere i primi clienti. Ovviamente qui nessuno mi conosceva, ma con la giusta pubblicità lo studio ingranò. A causa dei prezzi, inizialmente stracciatissimi, creammo una clientela mista composta anche da personaggi poco gradevoli. Con il tempo siamo riusciti a fare una scrematura, accogliendo solo persone a modo.”
“All’inizio eravamo aperti tutti i giorni, tutto il giorno”. Ora, con la difficile situazione del Covid, anche Vera lavora esclusivamente su appuntamento. Il mondo dei tatuaggi è molto affascinante. Voglio saperne di più: “Solitamente un tatuatore si specializza in un unico stile di tatuaggi, eseguendo poi solo quelli. Io, sin dal principio, ho deciso di occuparmi di tutto: realistici, maori, watercolor, sketch, trash polka, old school e qualunque altra cosa. Saper eseguire qualsiasi stile e riuscire a soddisfare ogni tipo di richiesta è per me un’immensa soddisfazione. Da qui il nome dello studio: Personalized Tattoo (‘Tatuaggio Personalizzato’, ndr).”
Per quanto riguarda i tatuaggi più emozionanti, “ci sono state richieste che hanno acceso in me particolare interesse perché si trattava della prima volta in cui avrei dovuto praticare una determinata tecnica di esecuzione. Oppure ci sono stati tatuaggi che ho eseguito con molto entusiasmo perché li ritenevo particolarmente belli, come il gatto che osserva la luna di spalle (molto singolare perché non presenta linee di contorno e l’esecuzione in sé prevede un colorare molto approssimativo e impreciso, nonostante il disegno risulti poi piccolo e dettagliato)”.

Ci sono anche tatuaggi che Vera non ama particolarmente: “Sono quelli che, a mio modesto parere, risultano poco armoniosi; non seguono le forme del corpo o sono semplicemente un’accozzaglia di cose e colori non connessi tra loro. Ma ognuno ha i sui gusti, la bellezza in tutto e tutti credo sia soggettiva”.

È molto bello scoprire, da un tatuatore, cosa è ‘nascosto’ all’interno di un tatuaggio: “Ho ricevuto richieste di ogni genere e, talvolta, alla base c’è la perdita di un proprio caro o la fine di un orribile periodo della vita. In quei momenti è visibile la commozione da parte del cliente e cerco di aiutarlo al meglio nel racchiudere quei dolorosi sentimenti in un disegno”.
Non mancano, però, anche aspetti simpatici: “Potrei raccontarti di episodi divertenti in cui il cliente, durante l’esecuzione, mi ha domandato ‘Ma questo che cosa vuol dire?’, oppure di quando uomini grandi e grossi, pieni di sé, si sono poi contorti, urlando (e non sto esagerando), su quel lettino che a stento reggeva il loro peso; o quando, tatuando date in numeri romani, a lavoro quasi ultimato, mi urlano ‘Aspetta! Ferma! Non sono sicuro che la data sia questa!’”.
C’è anche un altro aspetto interessante di questo lavoro; forse il più profondo ed emozionante: “Si riassume in una frase del film ‘Educazione Siberiana’, che recita ‘Un tatuatore è come un confessore’. In effetti, è proprio così. Ne ho sentite di storie. Senza chiedere nulla, che si tratti di mezz’ora o di tre ore, la maggior parte delle persone si espone così tanto da arrivare a raccontare i fatti più intimi e privati della propria vita (che chiaramente restano all’interno di quelle quattro mura). A volte, mi sento una psicoterapeuta”.
 

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